Come sulla Siena-Firenze, salti per aria e tamponamenti

Neanche Cosimo I de’ Medici era riuscito nell’impresa di unire Siena e Firenze. Una volta caduta la Repubblica senese, si era ben guardato da cancellare le istituzioni senesi e fare un tutt’uno con Firenze. Cinquecento anni dopo ci riesce il colosso Netflix, annunciandolo per giunta, a tutto il mondo in contemporanea, attraverso quella macchina diabolica che è internet. Per 100 mila euro abbiamo venduto l’anima con un contrattino commerciale semplice semplice. Ma poi ne è valsa la pena perchè il film è di quelli di qualità. Sgassate, inseguimenti, salti per aria come da’ in terra, sgommate come neanche a Silverstone, e così via… attraverso una sceneggiatura costruita da dialoghi che fanno riflettere: “Wow!” “Arghhh!” “Cristo santo!” “Prendilo!” “Eccolo qua!” e poi la frase storica “Ma quante cazzo di vie ha Firenze?” mentre scorrono le immagini di Siena. Ma se proprio dovevano unire Siena con Firenze con questo scenario di scontri e gimcane tra mille ostacoli, quale migliore lochescion sarebbe stata se non l’autoPalio che collega le due città? Sarebbe costato meno e tutto il film ne avrebbe guadagnato in veridicità. Non ci sarebbe stato bisogno di fare buche, deviazioni, guard-rail stretti per sorpassi pericolosi, brusche frenate e accelerazioni sarebbero venute naturalmente, non ci sarebbe stato bisogno neanche dello stuntman, bastava assumere un pendolare locale. Insomma tutto era già pronto. Ma è risaputo: agli ‘merigani piace strafare ed un film neo-realistico girato sulla Siena-Firenze non era nello loro corde.
L’Assessore Tirelli, nei giorni delle frenetiche riprese però si era un po’ sbilanciato: “Ad ogni modo è importante il fatto che Siena venga promossa attraverso un canale importante come Netflix. Le ricadute per ora non sono certo quantificabili, ma nel tempo i risultati saranno evidenti» (La Nazione, 29 agosto 2018). Per le ricadute è vero dovremo attendere, almeno fin quando non sarà chiaro che la Torre del Mangia non domina sull’Arno.
Ma è risaputo, per gli americani l’Italia è poco più di una regione, costituita da quartieri chiamate città. Si va per categorie semmai. Il Medioevo e il Rinascimento sono un polpettone indistinguibile. Città come Firenze, Siena, Spoleto, Gubbio cioè un po’ tutto il centro Italia, sono la storia tra il 1200 e il 1600. Per mafia, camorra, ‘ndragheta, insomma “il male”, va bene tutto il sud, tant’è che in questo capolavoro di film qual’è “Six Underground”, i cattivi sono di base a Taranto.
A noi ci basta che qualche multinazionale tiri fuori i quattrini e poi dell’onore ce ne sbattiamo bellamente. Come accadde con James Bond quando si riprodusse un Palio fuori stagione con tanto di sparatoria in Piazza durante la cors: di fronte alla moneta ‘merigana non facciamo tanto gli schizzèi. Poi durante l’anno ci possiamo inalberare per trenini, proiezioni di luci, banchini non eleganti, dimostrando una sensibilità al decoro ed allo stile encomiabili, ma ci basta annusare l’argent che passiamo sopra a tutto, giustificandolo con il grande mantra “E’ tutta pubblicità, saremo famosi in tutto il mondo, verranno da ogni dove”.
Dai tempi di Albertone Sordi con quel mitico film “Un americano a Roma” simbolo del fascino luccicante a stelle e strisce, per noi italiani, nulla è cambiato. In ogni comune della penisola ci sarà sempre un Nando Moriconi pronto ad aprire le porte al carrozzone cinematografico ‘merigano senza batter ciglio: “Oll rait, Oll rait, mister Netflix, auanagana, yesse, yesse” sembra di sentire nelle segreterie comunali di mezza italia. E noi non possiamo essere da meno.
D’altra parte, come città, siamo tornati su quote più normali, siamo scesi dall’Olimpo anche nelle classifiche della qualità della vita e adesso si viaggia con i piedi per terra. Ormai l’importante, semmai, è non scendere Underground.