Il Magistrato al tempo del covid-19

Al termine del blocco imposto dai decreti ministeriali, anche le Contrade con un ritardo di quasi un mese rispetto a quanto previsto dall’ordinanza della presidenza del Consiglio italiano, riaprono le sedi per prendere un caffè o stare semplicemente insieme, per riappropriarsi di una socialità e di una frequentazione del territorio di cui non dovrebbero rendere conto a nessuno, se ciò non va contro le leggi nazionali.
A questo punto è necessario analizzare come si è mosso il Magistrato delle Contrade in questa fase2 e 3 di riapertura, ed il giudizio è ampiamente negativo. Sono lontani i tempi del riformismo della gestione di Fabio Pacciani, lungimirante guida tra il 2012 e il 2016. La crisi cittadina causata dalla perdita della senesità del MPS, aveva prodotto una positiva riflessione all’interno dell’ente contradaiolo su quello che potevano essere i rapporti futuri con i poteri politici cittadini.
Nel recente passato il potere di influenza della “Banca” si era lentamente legato alla politica locale e poi anche al mondo delle Contrade, in maniera da sbilanciare quel delicato equilibrio di pesi ed autonomie che dovrebbero essere sempre alla base di un armonioso rapporto tra gli enti cittadini.
La crisi del MPS aveva reso necessario un cambiamento di rotta da parte della politica del Magistrato. Non era più il tempo dei brindisi in banca per Sant’Ansano, una cerimonia che annualmente certificava la sottomissione delle Contrade di fronte al Re MPS. “Il santo patrono si festeggia in banca”, scrivevamo all’epoca.
Il Rettore Pacciani appena eletto attuò subito una politica nuova, fresca e soprattutto non servile nei confronti del potere bancario e politico della città. Rispetto dei ruoli e indipendenza delle Contrade. La ricetta per quanto fosse semplice era una novità per un ente contradaiolo che è sempre stato attento a non essere sgradito ai “piani alti”.
“…Nella sua ormai secolare storia il Magistrato non è mai riuscito ad assumere quel ruolo di assoluto rilievo che, almeno teoricamente, gli dovrebbe competere ed è rimasto spesso in posizione subalterna rispetto all’autorità comunale e alle esigenze delle singole Contrade”, così scriveva Federico Valacchi nel suo interessante libro “Nel campo in lotta ed al di fuor sorelle” edito nel 1994 occasione del centenario del Magistrato.
Da un punto di vista interno invece, le difficoltà intrinseche in un quadro di riferimento in cui si cerca sempre la mediazione per giungere all’unanimità delle decisioni, è chiaramente limitante per definire una politica di completa indipendenza a difesa del mondo contradaiolo. Unanimità, è bene ricordarlo, ricercata ma non necessaria in base all’art. 27 dello Statuto: “…adotta le proprie decisioni a maggioranza assoluta dei voti”.
All’interno di questo complesso sistema di bilanciamenti e continue mediazioni, tuttavia rimane uno spazio di indirizzo abbastanza ampio da parte del Rettore, che riveste un ruolo determinante per caratterizzare l’azione “politica” dell’ente intercontradaiolo.
Con l’attuale gestione di Claudio Rossi abbiamo notato un ritorno ad un passato appiattito su una subalternità esterna ed una mancanza di visione generale delle legittime aspettative del mondo contradaiolo.
Sulla subalternità nei riguardi dell’autorità comunale è necessario fare riferimento al periodo nel quale si stava decidendo di rinviare o annullare le carriere insieme al recente ed incomprensibile blocco delle attività sociali che si è protratto molto più a lungo di quello che era necessario, secondo le norme stabilite dai decreti leggi nazionali, solo per assecondare le pressioni dei ristoratori (non tutti a dir la verità) che erroneamente temono una concorrenza sleale con le Contrade. Non serve fare un’indagine specifica per capire che l’afflusso di persone che si ritrovano nelle società di Contrada, incoraggiate ad uscire di casa per appuntamenti fissi, riunioni o anche per cene, creano un flusso di potenziali clienti anche per le vicine attività di somministrazione.
La decisione più discutibile in ogni caso è stata quella di stabilire, nel periodo della chiusura covid-19, l’abolizione di tutte le Feste Titolari delle Consorelle ed ogni manifestazione ad essa collegate e quindi anche l’utilizzo di alfieri e tamburini, tant’è che si è giunti anche ad evitare l’omaggio ai defunti con una rappresentanza monturata della Contrada.
Non riesce facile capire quale logica abbia spinto il Magistrato a decidere di annullare i festeggiamenti titolari anche per chi potrebbe effettuarli a luglio, agosto e settembre, come se non facesse piacere a tutti, dopo mesi di triste silenzio e senza Palii, vedere le strade cittadine percorse dalla felicità di una Contrada che sfila con alfieri e tamburini. Coloro che non hanno potuto fare il Giro annuale hanno dovuto rispettare delle disposizioni nazionali di prevenzione, una causa di emergenza nazionale i cui effetti non dovrebbero per forza ricadere sulle altre Consorelle in periodi di apertura per tutte le attività della penisola, compreso il calcio (e relativi festeggiamenti…), gli spettacoli e i cortei politici.
Fare delle Contrade un esempio di isola nazionale in cui si persegue una prassi di prevenzione eccessiva e non richiesta da nessuna legge non rientra di certo nei principi ispiratori del Magistrato, ed in particolare dell’articolo 3: “promuovere iniziative che vadano a vantaggio morale ed economico delle Contrade”. Adesso lo sappiamo, non vedremo per tutto l’anno sventolare una bandiera o ascoltare il suono di un tamburo. La città ci sembrerà diversa e insolitamente silenziosa, grazie ad un’ossequiosa osservanza di una decisione affrettata ed inutilmente censoria.

P.S. Adesso c’è la revisione del rituale Contradaiolo in discussione. Ne vedremo delle belle.

Giovanni Gigli