Quando l’infortunio al cavallo è pura poesia

Secondo la stampa italiana (Corriere della Sera) un cavallo che durante la corsa di galoppo “Gran Premio del Jokey Club” nell’ippodromo di San Siro, si infortuna, prosegue la corsa (che in pratica significa: “il fantino lo costringe a terminare la corsa”) e vince, diventa un momento epico, una scena dal fascino eroico che ci rimanda alla bellezza della mitologia greca. Sacrificio, cuore, vittoria, certo, va bene, ma anche 257 mila euro di dotazione di premio. L’equino in questione, ci tiene a sottolinearlo Luigi Ferrarella nelle pagine del quotidiano milanese del 22 ottobre scorso, sarà salvato: “le corse perderanno un campione, costretto al ritiro in razza, ma per fortuna Full Drago non è in pericolo di vita”. Immaginiamo la stessa scena, in un’ambientazione diversa, quella di Piazza del Campo durante il Palio, ed il taglio di tutti i giornali sarà ben diverso. Maltrattamenti, denunce, esposti della Lav, interrogazioni in Parlamento. Per il cavallo che lottava solo per un drappo di seta non c’è eroismo da dispensare, e si fa alla svelta a scendere dalla categoria “mito” a quella di “vittima sacrificale”. E noi senesi siamo i matti, i crudeli eredi di una manifestazione inutile e medievale. Perchè se si corre in un ippodromo i parametri del giudizio saranno comunque orientati all’esaltazione del cavallo atleta che gareggia in un ambiente “legale”, sportivo e professionistico, mentre il Palio è una corsa senza regole, senza tutele, selvaggia e idealmente “illegale”, in un ambiente dove il cavallo non è un atleta ma un animale costretto a correre. A San Siro invece, si sa, sono più civili, e al cavallo glielo chiedono prima se vuole correre e, guarda caso, il mitico quadrupede risponde sempre di sì, e in qualche caso, come in questo, impone anche al fantino di volere terminare la corsa seppure infortunato così gravemente da non poter più scendere in pista per tutta la vita. I senesi, forse, sono gli unici al mondo che non chiedono prima ad un animale di poter essere utilizzato e per questo sono degli aguzzini.
Nel resto del pianeta le persone dialogano con gli animali. “Caro bove vuoi gentilmente arare il campo?” “Non vedo l’ora”, risponde subitamente il caro animale. “Egregio cavallo ti va di saltare una ventina di ostacoli, così, tanto per fare un po’ ginnastica?”. Oppure quando, per esempio, portano a sterilizzare i gatti glielo chiedono prima: “Caro micino, posso asportarti utero e ovaie?” “Certo, come no? Fai pure”, risponde entusiasta la gatta.
Anche le associazioni animaliste in questi casi non fanno una piega, forse sono commossi anche loro dall’eroismo della scena. Eh si, esiste un mondo disneyano dove l’uomo vive in perfetta simbiosi con gli animali, il cuore batte forte, in pace con tutti gli esseri viventi, e se accade qualcosa di brutto, subentrano sentimenti di cordoglio plasmati con un po’ di mitologia che non guasta mai. In epoca moderna questo mondo idealizzato si è stranamente trasferito nello sport professionistico e olimpico, un ambiente nel quale, lo sappiamo bene, tutto fila perfettamente liscio, nessun interesse di sorta può inquinarlo e soprattutto, fatto non trascurabile, la magistratura non può mettere bocca. Succede che se nel Kentucky Derby del 2008, la povera cavalla Eight Belles muore in pista, stramazzando al suolo in diretta televisiva, davanti ad un centinaio di giornalisti, sempre “il Corriere della Sera”, sotto il titolo “L’America si commuove per la cavalla soppressa in pista”, scrive testuale: “Eight Belles, una puledra, data per favorita assieme al vincitore Big Brown, si è spezzata le gambe anteriori in dirittura d’arrivo. Sulla pista, davanti a 157 mila spettatori ammutoliti, con le lacrime agli occhi, un veterinario le ha fatto un’iniezione letale indolore”. Qui, infatti, non ci sono perfidi persecutori a cui piacciono giostre antiche e medievali, pertanto trattandosi di uno sport professionistico che muove miliardi di dollari, va tutto bene. La scena di un cavallo con le gambe spezzate in mezzo alla pista (vedi foto) non indigna nessuno – nemmeno il giornalista -, commuove e basta. E così se alle Olimpiadi di Pechino 2008 nella disciplina del salto ad ostacoli si dopano i cavalli, usando una pomata che provoca bruciori agli anteriori e fa saltare di più, non accade nulla. Sì certo, qualche squalifica si applica, ma nessuna associazione animalista denuncia e nessun magistrato interviene per aprire una legittima inchiesta per maltrattamento. Anche nel calcio gli esempi non mancano. Se Totti sferra volontariamente una calcione da dietro a Balotelli oppure Bonucci una bella gomitata nel muso di Rosi, le carte in procura non si muovono di un millimetro. Ma se il Columbu tira giù il Tittia da cavallo apriti cielo! Si apre una bella inchiesta per violenza privata. E che cavolo! Totti e Bonucci moralmente parlando hanno un valore molto superiore ad un fantino che, tra l’altro, si fa chiamare “Veleno”. Non parliamo poi del calcettino che Valentino Rossi diede alla moto di Marquez facendolo rotolare per le terre alla bellezza di 300 km all’ora. E che vuoi che sia! Bazzecole! Tutto rientra nella sfera delle sanzioni del Campionato mondiale. A Siena pur facendo il Palio da oltre 500 anni ancora non possiamo usufruire della depenalizzazione che invece hanno potuto raggiungere in minor tempo il calcio, la motoGP e l’ippica. Quindi, anzichè ricercare vanamente i bollini dell’Unesco, per tutelare il Palio si farebbe meglio a chiedere l’iscrizione ad una disciplina professionistica od Olimpica. Una bella richiesta al Coni o all’Unire, io la farei. Se intorno al Palio girassero un bel po’ di milioni fra sponsor e diritti tv, se fosse seguito da milioni di persone in tutto il mondo, e se anzichè un semplice drappo di seta si vincessero qualche milione di euro, tutto sarebbe risolto. Si rientrerebbe nel tranquillizzante mondo della lacrima facile, degli applausi all’arto spezzato, del gesto generoso ed eroico. Nessun giornalista si sognerebbe di condannarci perchè il Palio sarebbe uno sport riconosciuto, un evento che godrebbe della stessa stima del calcio, dell’ippica o delle moto: un mondo di personcine innocenti, a modino, si direbbe noi.
Giovanni Gigli