Il web è una fonte inesauribile di notizie e può offrire sorprese a non finire. Casualmente, ascoltando su “YouTube” alcuni brani di opere di Ludwig van Beethoven, mi sono imbattuto in una composizione meno conosciuta ma molto particolare, una marcia: “La vittoria di Wellington”composta nel 1813 per celebrare il successo del generale inglese sull’esercito francese nella battaglia di Vitoria in Spagna. Dopo circa un minuto e ventitre secondi di ritmi tipicamente militareschi, sono sobbalzato sulla sedia, incredulo di ciò che sto ascoltando: il passo a vittoria dei tamburi delle nostre Contrade! Forse non ho scoperto niente ma sinceramente non ricordavo di aver mai letto nulla in proposito, seppure mi fossi sempre chiesto quali origini avessero i ritmi tipici del Palio, vale a dire il passo a vittoria e il passo di Piazza altrimenti detto della Diana. Mentre il semplice passo del Giro è un ritmo comune nelle composizioni bandistiche militari, negli altri casi non avevo nessun riferimento. Superato lo stupore e l’emozione nel sentire nelle note Beethoven un suono che, come tanti altri senesi, ho potuto “battere” migliaia di volte, decido di controllare – attraverso l’utilissimo indice degli articoli – se una notizia del genere, è mai stata commentata in quella che ritengo la “Bibbia” del vero contradaiolo, ovvero le pubblicazioni della rivista “Il Carroccio”. Scopro così che l’erudito musicologo Franco Baldi, nell’articolo “Beethoven ed il Palio” (il Carroccio n. 74 del 1998) aveva scritto un interessante articolo sul tema. Tale composizione era stata scritta dal compositore tedesco su incoraggiamento di Johan Nepumuk Malzel, un geniale inventore di strumenti musicali, che tra l’altro costruì il primo metronomo, affinchè tale opera fosse riprodotta su una macchina musicale di sua invenzione, il “panharmonicon”, uno straordinario apparato scenico in grado di riprodurre gli strumenti musicali delle marce militari. Nell’idea di Malzel c’era il progetto di esportare tale composizione nel Regno Unito e di farne un successo popolare, come poi di fatto si rivelò. Franco Baldi, nell’articolo si domanda scherzosamente se, magari, qualche tamburino di Wellington si sia mai esercitato nel suonare le mazze sul marmo di uno scalino come fanno molti bambini a Siena. Ma ampliando la ricerca sull’origine di questo “berebennannà” beethoveniano si viene a sapere che la marcia “Wellington’s victory” fu composta immaginando le schiere degli eserciti inglesi e francesi accompagnati dai tamburi di guerra laterali di entrambi gli eserciti. Come mi ha fatto notare Luca Virgili in una interessante discussione “feisbucchiana” i suoni militari dei tamburi inglesi sono abbastanza diversi da quelli della tradizione imperiale francese. Ed in ogni caso, se la contaminazione musicale è avvenuta è più logico pensare che sia stato l’esercito francese durante la campagna italiana di Napoleone ad innescare la scintilla. Già, può darsi, ma qual è l’esatto riferimento?
A questo punto non rimane che ricercare qualche marcia militare francese dell’epoca e, senza perdere troppo tempo, parto dal corpo più famoso, ovvero la Guardia Imperiale. Si trattava dell’elitè dell’esercito napoleonico, uomini scelti, veterani di grande affidamento che l’imperatore francese teneva come riserva durante le battaglie. Ed ecco scoperta l’origine del nostro passo a vittoria. Se ascoltiamo (su “YouTube”, naturalmente) i tamburi della Guardia Imperiale (dal minuto 1.20), sembra di assistere al giro di una Contrada che ha appena vinto il Palio! Non solo il tipico ritmo in 6/8 è quello, ma è simile anche quell’originale uso, tanto deprecato da parte dei “puristi” del tamburo, di alternare al suono sulla pelle del tamburo quello più allegro e squillante delle stesse mazze battute tra di esse. Pertanto possiamo affermare che, quando qualcuno farà un “berennanà” con il suono del legno delle mazze, non è una semplice “gazzillorata”… lo facevano anche gli eroici soldati della Guardia Imperiale! Anche l’altro passo, quello della Diana, usato per il Corteo Storico trae origine dal suono dei tamburi dell’esercito napoleonico. Si tratta di una rielaborazione del ritmo de “la Diane e le rigodon” utilizzato all’alba per svegliare le truppe. Etimologicamente “Diana” ha la radice nella parola latina “dies”, giorno, luce. La luce che nel bosco, tra le fronde degli alberi risveglia la natura ed è per questo motivo che Diana per gli antichi romani, rappresentava la dea dei boschi e, per estensione, anche la dea della caccia. Quindi possiamo escludere la teoria secondo la quale il suono della Diana sia un ritmo di una marcia da battaglia, semmai lo è il passo a vittoria. Ciò è confermato da quanto riferisce Alessandro Leoncini nel libro “Studenti e professori in battaglia. L’Università nel risorgimento”.
Nel contingente senese della Guardia Civica Universitaria isituita da Leopoldo II nel 1847, due studenti, Giuseppe Leri ed Egisto Manetti furono incaricati insegnare i “passi” di marcia del tamburo, e, tra questi, vi era, appunto, “la Diana” che doveva dare la sveglia all’alba (a destra particolare del dipinto di Pietro Senno “I Toscani a Curtatone”, 1861, con il tamburo imperiale abbandonato). Appare dunque certo, come nella formazione delle nostre comparse il tamburino abbia assunto il ruolo attuale grazie alla spinta data dal suo utilizzo nell’esercito imperiale francese. Prima di allora, solitamente, le schiere contradaiole sono accompagnate dallo squillo delle trombe e dei corni. D’altra parte il tamburino conquista il proprio ruolo definitivo solo a metà dell’800. Nei bozzetti realizzati dal Comune di Siena nel 1878 su proposta del sindaco Luciano Banchi addirittura al posto del tamburino troviamo ancora un trombettiere con un solo alfiere, anche se le Contrade si erano già espresse a favore dell’utilizzo del tamburino e di due alfieri. Decisione già affermata con il rinnovo delle monture del 1839 – raffigurate dall’Hercolani – data nella quale si stabilì per la prima volta il numero esatto dei componenti la comparsa, uguali per ciascuna Contrada.
Giovanni Gigli