Palio e tv, un rapporto delicato

“Or dunque siorri e siorre, oggi ho visto il Palio di malavoglia perché, stavano ritardando ER, comunque l’ho trovata una manifestazione medievale pessima, forzata, pura scena con totale assenza di spirito. Non capisco nemmeno perché, e se qualcuno me lo spiegasse, gliene sarei grato, il tipo con la maglia viola, (della Torre se non sbaglio) continuasse a rinviare la partenza, e decidendosi a partire proprio quando ho cambiato canale, facendomi perdere l’inizio. La mia opinione è che lo facesse per puro esibizionismo, per far durare di più il suo momento di gloria. In fine continuo a sentire che il Palio di Siena non si può capire se non si vive a Siena; e allora dico, perché trasmettere su una rete nazionale quando esistono quelle regionali?? Il Palio di Montagnana neanche su telepadova lo trasmettono.”


Affronto volentieri il tema del Palio in tv riportando per intero l’intervento di tale “Skif” tratto da un gruppo di discussione di internet (it.arti.fantasy). Non potendo fare personalmente un’indagine statistica seria (ma sarebbe molto utile che il Consorzio o il Comune di Siena attraverso la Facoltà di Scienze della Comunicazione la promuovessero) getto le reti in quel vasto oceano che è internet per carpire qualche informazione in più su di un argomento del quale nessuno sembra interessato, ma che a mio modesto avviso è di fondamentale importanza per capire la dinamica attraverso cui si forma l’opinione pubblica sul Palio. Ovvero: come viene recepito il Palio trasmesso dalla televisione, dallo spettatore medio italiano; quali “risposte” ci offre e come si pone di fronte alle due ore di diretta nazionale della nostra Festa. Sarà pure un caso ma, come già evidenziato nell’articolo precedente, la discussione su internet ripete sempre lo stesso copione. C’è l’indignato che protesta, che non capisce e che non è mai venuto a Siena, al quale inevitabilmente risponde il senese purosangue oppure colui che, non senese, ama il Palio per essere stato a Siena più di una volta e ne è rimasto folgorato. L’intervento di “Skif” riportato qui sopra è emblematico per due ragioni. Innanzitutto conferma la mia opinione che, per la maggioranza dei teleutenti italiani, la trasmissione inserita nel palinsesto Rai alle ore 18,00 denominata “Il Palio di Siena” viene recepita in maniera molto diversa da come si vorrebbe credere noi. Tra uno zapping e l’altro, in attesa di vedere “E.R.” il nostro amico “Skif” si imbatte nel Palio proprio nel momento in cui i cavalli sono alla mossa. Ha perso tutti i bei servizi propedeutici di Ravel e vede un “tipo con la maglia viola” che ritarda la partenza a tal punto da fargli perdere l’inizio del più “tranquillizzante” E.R. Mi si obietterà che vi sono anche un parte di spettatori italiani che seguono il Palio in TV con affetto e trepidazione e si registrano tutta quanta la trasmissione per arricchire un geloso archivio personale e che la perdita della diretta televisiva sarebbe una dolorosa ed inutile privazione. Rispondo ricordando che la mia perplessità sulla messa in onda del Palio in diretta è circoscritta alla solo trasmissione sui canali televisivi nazionali e non su quelli locali o via internet. Per una semplice ragione. Collegarsi ad internet per vedere il Palio si basa su un atto volontario e cosciente come può esserlo la cosidetta “tv on demand”. È una costruzione autonoma del percorso fruitivo e non passiva. Voglio vedere quella determinata trasmissione perché in quel momento mi interessa quella e nessun altra. Vi è una una risposta interattiva consapevole e non involontaria. Il soggetto accende il computer si collega ad internet e va in quel determinato sito web perché la sua “passione” la sua “curiosità” è consapevolmente legata alla nostra Festa e sa già quali contenuti troverà. La trasmissione televisiva su un’area locale, naturalmente, va mantenuta per favorire Siena e la sua provincia, ovvero luoghi nei quali lo spettatore è consapevole e preparato. Il telespettatore medio italiano invece è esattamente quello descritto da un esperto di linguaggio televisivo come Davide Parenti (ideatore di programmi famosi come “Le Iene” e “Matrix”) in una recente intervista sul magazine del Corriere della Sera del 18 dicembre 2006: “La gente non guarda la televisione. L’accende. E poi fa altre cose. Se vuoi che il tuo programma sia comprensibile devi porti il problema che i telespettatori non sono persone attente”. Questo è molto spesso l’ambiente di “ricezione” che trova il messaggio televisivo del Palio. La televisione è lasciata accesa in moltissime case italiane per tutto il giorno, fa compagnia anche senza guardarla, è un mezzo di comunicazione che non richiede particolare attenzione, si subisce in modo passivo passando continuamente tra un numero indefinibili di programmi e reti televisive. La nostra pretesa di affidare a questo mezzo o per meglio dire a questa modalità di interazione unidirezionale e passiva un valore pedagogico del Palio è pura utopia. Per lo spettatore medio il Palio è percipito come uno show, al pari di un varietà qualsiasi, non come un programma di Piero Angela. In un contesto di questo tipo dobbiamo capire realmente quali sono gli effetti ovvero le conseguenze della “trasmissione Palio” sul Palio stesso. Tanto per entrare nel vivo: nel 1981 Lang e Lang, due esperti americani in sociologia dei media, hanno aggiunto tre tipi di effetti (o conseguenze) a quelli già definiti dagli studiosi del settore.Questi effetti dei media sul pubblico, sono molto interessanti per il nostro caso. Lang e Lang individuano un effetto“reciproco”, un effetto “boomerang” ed un effetto “per gli altri”. Si tratta di una triade di effetti, che a mio modo di vedere, riguardano tutti e tre l’evento Palio in tv. Per “reciproco” si intende “le conseguenze per una persona o per una istituzione quando diventa oggetto dell’interesse dei media”. Che, in soldoni significa: subire involontarie conseguenze e cambiamenti dalla sua stessa pubblicità mediatica. L’effetto “boomerang” è fin troppo evidente quanto abbia riguardato il Palio. Si tratta infatti dell’effetto “cambiamento in direzione contraria a quella voluta dal messaggio”. E qui credo proprio che non ci siano perplessità sul fatto delle innumerevoli polemiche e denunce che la nostra Festa subisce a causa della sua stessa pubblicità televisiva. L’effetto “per gli altri” indica “la convinzione che sono “gli altri” ad essere influenzati e non la persona direttamente interessata secondo le intenzioni di chi invia il messaggio. Ovvero, nel caso del Palio: vogliamo mandare un messaggio positivo a tutti coloro che amano il Palio ma in realtà sono influenzati solo coloro che sono predisposti ad odiarlo. In attesa di una più ampia e approfondita indagine sugli effetti mediatici del Palio possiamo riportare il parere del più famoso critico nazionale della televisione per valutare l’effetto ricevuto dalla visione televisiva della nostra Festa. Aldo Grasso, il 4 luglio 1998, scrive a proposito del Palio, sulla sua quotidiana rubrica del Corriere della Sera: “Il Palio e’ forse la competizione piu’ antitelevisiva che esista; per questo ha resistito per anni e conserva immutato il suo fascino. La gara in se’ dura poco piu’ di un minuto; e’ un minuto di fuoco dove i fantini si menano con il nerbo di bue, vengono disarcionati, rischiano di finire travolti dai cavalli. Il resto e’ un mistero che appartiene solo ai senesi. La Tv non puo’ dare conto delle trattative segrete, delle congiure, della disinvoltura dei tradimenti, delle cerimonie criptiche che accompagnano la manifestazione. Non puo’ dare un volto allo spirito feroce dei contradaioli. E’ solo sventolio di bandiere, folklore in costume, 50 minuti di snervante attesa nei preamboli dello stallo per un evento che si consuma in un baleno”. Parole sante, vien voglia di dire!. Aldo Grasso non conosce il Palio ma capisce che trasmetterlo in TV non serve a farlo capire.
Dice bene Grasso – “Il Palio è antitelevisivo” – ed è forse questa una delle ragioni per la quale si è mantenuto nei secoli, ma a Siena ci sforziamo incomprensibilmente di farlo divenire un evento televisivo per tutti, ed io mi domando il perché di tanto accanimento. Perché ci sforziamo a gettare il Palio che conosciamo, la nostra storia, i nostri sentimenti in un oceano incontrollabile di sangue, spari, culi, tette, medici in prima linea e talk show di terza categoria, ad uso e consumo di telespettatori distratti? Il posto del Palio nei mezzi di comunicazione deve essere ridefinito per collocarlo in una dimensione più consona e meno incontrollabile. Affermare che il Palio non deve essere trasmesso è una affermazione che non sottoscriverei. La trovo antistorica e controproducente. L’errore contrario però è quello di non valutare bene quale sia oggi il variegato panorama dei mezzi di comunicazione e di conseguenza affidare il Palio al mezzo che più lo rispetta. Siamo nel 2007 e la situazione è cambiata moltissimo da quella prima diretta televisiva del 1954. Il modo stesso di fare televisione è cambiato e così pure sono cambiati i mezzi di comunicazione. C’è la tv satellitare a pagamento al cui interno vi sono trasmissioni a pagamento, quella del digitale terrestre, quella di internet, quella sui telefonini ed anche quella di quartiere da fare con pochi e semplici mezzi, ed infine, non dimentichiamocelo c’è la radio che negli ultimi anni sta rivivendo una nuova esaltante stagione. L’apertura ad internet sul canale Rosso Alice avvenuta da un paio d’anni è, in questo senso, un ottimo segnale.Una volta raggiunta la convinzione che non è possibile affidare ad uno strumento così incontrollabile nei suoi effetti- come lo è la tv generalista – il delicato messaggio culturale del Palio, si tratta solo di cambiare ormeggio e passare dal grande polpettone della televisione nazionale ad un media che privilegi uno spettatore preparato e consapevole. Oggi non ha più senso incaponirsi sulla sterile discussione “Palio in Tv sì, Palio in Tv no”, ma occorre guardarsi attorno e ammettere che il mondo delle comunicazioni è cambiato, la televisione generalista non ha più il monopolio e proprio per questo non è più l’unico punto di riferimento. Studiare questo variegato mondo delle comunicazioni con preparazione e attenzione e scegliere in base alle reali esigenze della nostra Festa è un nostro dovere non più rinviabile. Fare della Rai e della tv nazionale in genere il nostro unico faro di riferimento, significa avere una visione parziale dell’offerta attuale nel campo dei media. Tanto più considerando che molte delle più seguite trasmissioni non sono più collocate in questo spazio.  
Giovanni Gigli